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Il Salotto: Intervista a Giulio Leoni

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Per la nostra rubrica "Il Salotto", Alessandra Paganardi ha incontrato Giulio Leoni, autore della Sequenza mirabile, recentemente recensito su CriticaLetteraria (clicca per leggere la recensione).

Dottor Leoni, sebbene la sua narrativa non sia certamente di facile e immediato consumo, la sua produzione è ormai nota anche al cosiddetto “grande pubblico”: tuttavia le domando, per utilità dei frequentatori del nostro blog, un piccolo sommario. L’ultimo libro, “La sequenza mirabile”, è uscito come sappiamo nell’estate del 2010. Può ricordare i libri precedenti, la data d’edizione e, almeno sommariamente, i vari intrecci?
Ho scritto quattro romanzi con Dante nella veste di investigatore: I delitti della medusa, I delitti del mosaico e I delitti della luce, ambientati a Firenze durante i priorato del poeta, e La crociata delle tenebre, ambientato a Roma durante la sua ambasceria alla corte di Bonifacio VIII. In tutti e quattro il poeta si misura con una serie di delitti misteriosi, legati a moventi politici, filosofici o religiosi. Oltre a questi ho scritto La donna sulla luna, un giallo ambientato a Berlino nel ’29, durante le riprese dell’omonimo film di Fritz Lang: in questo ho colto l’occasione per rendere omaggio a uno dei miei registi preferiti, nel quadro di un momento artistico e culturale straordinariamente interessante. In E trentuno con la morte la storia è ambientata a Fiume durante l’impresa dannunziana, in un quadro politico influenzato dal movimento futurista. La regola delle ombre, ambientato a Roma alla fine del ‘400, con Pico della Mirandola come protagonista, è stato un’occasione per esplorare i misteri del neoplatonismo rinascimentale. Ho poi scritto una trilogia centrata sulla misteriosa e perduta città di Anharra, eretta da un re folle che dialogava con i demoni, e alcuni romanzi d’avventura diretti a un pubblico più giovanile: Il deserto degli spettri, Il sepolcro di Gengis Khan e La ladra di Cagliostro, oltre a numerosi racconti apparsi in antologia.


Nelle dichiarazioni e interviste lei osserva spesso che la narrativa nasce da un mix fra realtà e immaginazione. Ma ciò che rende più interessante questo miscuglio, nella sua scrittura, è proprio la sospensione del giudizio (o meglio del pre-giudizio) sulla presunta dicotomia fra reale ed irreale. Alla fine trionfa il possibile, e spesso non c’è una soluzione a senso unico del mistero. Quale parte può giocare in questo speciale sguardo la famosa nottola hegeliana d’Atena, la formazione filosofica (che sembra voler chiarire tutto, ma forse denuncia i limiti della ragione chiarificatrice?).
Come ho spesso ripetuto, secondo me la funzione della narrativa non è quella di riprodurre la realtà, ma di “aggiungere” alla realtà elementi che prima non c’erano. A volte semplicemente correlando in maniera diversa elementi già noti, a volte ipotizzandone di nuovi.


Quali sono stati gli autori importanti per la sua formazione? Quanto ha pesato, oltre alla science fiction evidentemente molto amata, il cosiddetto “realismo magico” di un Buzzati e di altri?
Moltissimo. Io sono stato un appassionato lettore di Buzzati quando non ne parlava nessuno, e sono sempre stato attratto dal realismo magico in tutte le sue forme. Sarà perché il primo libro che ho letto non appena in grado di farlo è stato Le mille e una notte, il sense of wonder è quello che cerco sempre nelle mie letture e che cerco di trasmettere in quello che scrivo.


Come vive il suo rapporto con la scrittura? Non teme che diventare un autore di best-sellers possa modificarlo irrevocabilmente rispetto agli esordi, facendone un mestiere simile agli altri?
Se con best seller ti riferisci a me, la strada è ancora lunga! Per certi aspetti la scrittura “è” un mestiere: come diceva Rilke a proposito della poesia, il primo verso lo regalano gli dei, ma gli altri vengono dal tavolino. L’importante è non tradire mai quel primo verso, l’idea che ci affascina e che vorremmo trasformare in narrazione, senza seguire passivamente il presunto gusto del pubblico. Che, oltre tutto, è sempre imperscrutabile: la caccia al best seller è sempre infruttuosa.


Nei suoi romanzi, oltre ad una prosa particolarmente tersa ed elegante, si trovano scorci di vera e propria prosa poetica. Mi vengono in mente certi notturni e, uno per tutti, il capitolo finale della “Sequenza mirabile”. Oltre al suo ben noto interesse per la poesia del Duecento e per lo sperimentalismo, crede che la poesia possa esprimere ancora qualcosa d’autentico nella cultura di oggi?
Assolutamente, la poesia resta l’espressione più intensa di cui l’uomo dispone per interpretare il mondo e i il suo mistero. Bisogna tener conto però che i codici espressivi mutano nel tempo, e nell’ultimo secolo in maniera vorticosa. Oggi bisogna cercarla spesso in ambiti insospettabili: esistono per esempio tavole di Pratt o sequenze di videogiochi in cui la carica espressiva è talmente significativa da potersi giudicare a buon diritto poesia.


La sua narrativa è anche un esempio di quanto sia feconda per uno scrittore l’incursione nel mondo della scienza, nella fisica teorica in particolare. Che cosa suggerirebbe di leggere e di studiare ad un giovane che voglia dedicarsi attivamente alla scrittura?
La scrittura è un effetto, non una causa. Nasce dalla sensazione che in un campo che ci appassiona ci sia ancora qualcosa da dire: una storia non ancora narrata, un personaggio che non ha ancora nome. Per cui il primo passo è appunto coltivare una passione. In questo senso tutto è utile, basta seguire sempre i propri interessi, e narrare di quello che ci appassiona. Solo così si può sperare di coinvolgere il lettore in quello che scriviamo.


Qual è, secondo lei, un autore che valga la pena riscoprire, o che non sia stato sufficientemente valorizzato dalla critica?
È un esercizio triste e anche sterile. Ogni anno vengono pubblicati libri interessantissimi, che per qualche motivo scivolano via inosservati. Il mondo ahimè è ingiusto. Potrei citarti decine di nomi poco noti o del tutto ignorati, che invece costruiscono dei veri propri monumenti. Qualcuno conosce Edogawa Ranpo, il maestro giapponese del mystery? Per fortuna ci sono i lettori, che spesso fanno poi giustizia.

I suoi libri rivelano una propensione assai particolare per la satira, a volte con toni che sfiorano il surreale, o eventualmente l’iperreale. Spesso gli scorci sono rapidi e sapidi, come (sempre parlando della “Sequenza mirabile”) in particolare il quinto capitolo, sul quale non dico nulla, per lasciare intatta la curiosità del futuro lettore. Quanto hanno pesato e pesano nella sua cultura letteraria arti collaterali come il cinema e il fumetto? Quanto le produzioni di nicchia, come la satira e l’aforisma?

Moltissimo: io sono un grande appassionato sia di cinema che di fumetto: possiedo letteralmente migliaia di film e di fascicoli, che colleziono da quando ero giovanissimo. E passo ore a rivedere o a rileggere quelli che ritengo più belli.

Il rapporto con il mistero si trasferisce nella sua narrativa anche attraverso l’amore per l’esoterismo, l’astrologia e le scienze occulte. Passioni coltivate seriamente, che però vengono spesso calate nei personaggi in maniera giocosa. Può spiegarci brevemente, a grandi linee, il suo rapporto con le scienze del mistero?
Ho cominciato a interessarmi di esoterismo all’università, per via degli esami di filosofia del Rinascimento. Ne rimasi intrigato, perché non riuscivo a spiegarmi il perdurare nella nostra cultura di teorie e idee palesemente prive di fondamenti razionali. Solo dopo ho capito quella che credo una grande verità: sono le idee errate quelle che muovono la storia, per strano che possa sembrare.

Abbiamo esordito ricordando l’importanza che nella sua narrativa ha il possibile, inteso soprattutto come possibili cause e retroscena d’avvenimenti storici che crediamo a torto già tutti spiegati. Vorrei che mi aiutasse ad approfondire quest’interessante punto. Si ha spesso l’impressione che gli eventi storici possano essere sorti da cause diverse da quelle ritenute ufficiali, ma a questo dubbio si accede per caso, e con la sensazione di un vero e proprio labirinto mai dominato. E per ogni causa possibile c’è uno scenario a parte, che sovverte totalmente il quadro: una sorta di “ucronia” delle possibilità, o d’ermeneutica fantasmagorica. Tutto ciò, come lei stesso dichiara, serve ad illuminare e a confondere insieme. In ultima analisi, attraverso questa specie di luce intermittente, lei crede che la letteratura possa contribuire ad arricchire la nostra comprensione della storia, delle sue rimozioni, delle sue tragedie?
Io parto da una constatazione abbastanza elementare: sappiamo pochissimo del passato. Praticamente nulla di quanto avvenuto prima del 4-500 avanti Cristo, e poco e confusamente di quello che è venuto dopo. Quello di cui disponiamo è una manciata di documenti (spesso incerti o addirittura falsi) e poi un insieme di correlazioni. Tutta la nostra storiografia, come diceva Nietzsche, non è altro che interpretazione, soggetta agli umori e ai punti di vista del tempo che la esprime. Siamo convinti che Nerone fosse una specie di sadico, e Caligola un pazzo furioso. Ma basta correlare in modo diverso quei pochi elementi certi che si conoscono, per fornirne un ritratto completamente diverso: quello di due geniali innovatori, due sognatori in lotta contro un sistema di potere cristallizzato e corrotto. La narrativa in questo può assolvere un compito fondamentale: tenere acceso il dubbio, sconquassare le pigre certezze, rendere più vigile l’attenzione. e in definitiva fornirci una straordinaria chiave di interpretazione del mondo contemporaneo.

Intervista di Alessandra Paganardi