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"L'idea di nazione" di Federico Chabod

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L'idea di nazione
di Federico Chabod
Roma-Bari, Laterza, 1961

pp. 198


Il 17 marzo del 2011 l’Italia compirà 150 anni.
La proclamazione del Regno d'Italia avvenne ufficialmente il 17 marzo 1861. In quella data "Vittorio Emanuele II di Savoia", già Re di Sardegna, venne proclamato "re d'Italia per grazia di Dio e volontà della nazione"… Ora, già da mesi, congressi, presentazioni di libri, conferenze, mostre e avvenimenti vari, ci immergono in piena atmosfera d’ attesa. Capita spesso di pensare al significato, apparentemente tanto ovvio, dei termini che hanno formato la nostra coscienza nazionale. 
L’idea di nazione. Cos’è? E che vuol dire patria? Da quando esistono questi concetti nell’accezione che noi conosciamo? E che significavano prima? Ogni volta che si fanno riflessioni sui fatti storici, occorre evitare il più possibile di attribuire al passato i concetti e le idee che abbiamo nel presente. Così, chiunque pensi che in passato esistessero delle nazioni, corrispondenti agli attuali stati nazionali, cade in un grave errore di prospettiva.
Quella che noi chiamiamo “Nazione” era da Macchiavelli (1469-1527) chiamata “Provincia”, ma essa - pur contenendo in sé i confini geografici, lingua, costumi e istituzioni – mancava del fattore politico, la volontà di essere nazione. Pecca alquanto di municipalismo, al contrario, l’accezione rinascimentale del termine nazione, utilizzata infatti, nella valenza di nazione fiorentina, veneta, lombarda ecc. Analogamente la “Patria”era per gli uomini del cinquecento ancora la “città” di Firenze, Venezia, o Milano.  
E anzitutto. La nazione è la patria . Per noi questa identificazione dei due termini è ovvia , ma è ovvia proprio soltanto dall’età di Rousseau (…) . i due termini fino allora erano stati ben distinti. Soprattutto, preme mettere in rilievo che patria equivale per molti secoli generalmente ancora a “luogo natio”.
Federico Chabod, uno dei più grandi storici del novecento, ci ha omaggiati di un’attenta analisi filologica, storico- letteraria e filosofica sul senso di concetti quali nazione, patria e stato. 
Dire senso di nazionalità ,vuol dire senso di individualità storica
scrive Chabod; si giunge, così, al principio romantico del “particolare” che afferma il trionfo delle differenziazioni tra gli uomini contro i principi enciclopedici dell’illuminismo. Non esistono costituzioni universali, così come gli uomini anche le nazioni sono diverse l’una dall’altra.
Azioni eroiche, Passione - Coscienza, Coscienza! - invocava Rousseau.
Insomma, con il romanticismo, si disse: l’ Italia ha delle tradizioni comuni  dovrebbe aver una lingua comune, ma non ce l’ha, dovrebbe avere una bandiera comune e una volontà comune, ma non ha neppure quelle. In definitiva, non ha “la volontà generale”, e dunque, non può essere nazione. Ha, però, un senso di appartenenza comune, un’anima, un qualcosa che la rende patria.
La patria e prima di ogni altra cosa la coscienza della patria; - senza di essa , senza la Fede nella patria, - voi siete turba senza nome, non Nazione; gente, non popolo. (G. Mazzini, Ai Giovani d’Italia, 1859). 
Dopo la rivoluzione francese la politica acquista “pathos” religioso, il senso delle parole muta. Il martire religioso diviene martire politico: inizia il risorgimento Italiano.
Ove fia santo e lagrimato il sangue/ per la patria versato. (Ugo Foscolo, dai Sepolcri)
La Volontà è il fattore determinante il senso di nazione per gli italiani, la Natura lo è per i tedeschi e gli svizzeri. Da qui, ecco, la distinzione tra la concezione volontaristica e quella naturalistica sancita da Chabod . Entrambe sfociano in un differente bisogno di libertà.
Libertà da difendere o libertà da conquistare?
I tedeschi rispondono con la formula “natio quia nata”, richiamando un diritto naturale, gli italiani, al contrario , lottano per una nazione che sia un plebiscito di tutti i giorni .
In Herder (1744-1803), ad esempio, il senso d’individualità è pressante e pieno di pregiudizi che confluiranno nei nazionalismi del novecento. Mentre fino a quel momento si credeva in una natura umana comune, Herder proclama una “diversità fondamentale, originaria, naturale delle nazioni.”
Il risorgimento italiano è stato considerato come un fenomeno generazionale. Giovani come d’Azeglio, ventenni , immaginavano di ammazzare un tiranno riscaldandosi al suono delle tragedie di Alfieri; si esaltavano leggendo le “Fantasie”di Berchet e si entusiasmavano quando Mazzini parlava di Patria come comunione di liberi ed eguali affratellati , di Unità come comunione di popoli. La mente e l’ardore di questi giovani fece decollare il discorso nazionale e lo avviò con l’indipendenza dallo straniero .

Ebbene, ora, c’è chi pensa al federalismo, al bisogno di staccarsi in piccole unità per chissà quale tornaconto, all’esigenza di distanziarsi sventolando simpatici fazzolettini dai colori sgargianti.
E le passioni? Dove sono andate a nascondersi? Dove sono finite quelle fantastiche irregolarità multiformi del genere umano?
Forse si trovano in una bufera di incertezze, si celano nella malinconia di individui asimmetrici e scrutano il mondo da lontano consapevoli della loro sconfitta. 
                                                                                             
Isabella Corrado