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Il salotto: intervista a Giuseppe Columbo

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Ciao Giuseppe,
innanzitutto grazie per esserti seduto al nostro salotto. Se già farebbe uno strano effetto, ma quanto mai positivo, poter interrogare qualcuno che già conosce Critica Letteraria, è davvero rilassante trovarsi a tu per tu (virtualmente parlando) con un nostro collaboratore.

Dunque, parliamo del tuo Quello che le foglie non dicono, e consigliamo ai lettori un'occhiata alla recensione della scorsa settimana.

Ciao cara Gloria. Grazie a te e a Critica per avermi invitato.
Sedersi su questo salotto è una piacevolissima sensazione; è la prima volta che mi capita un’occasione simile e trovo splendido sia coincisa con la tua presenza e l’interessamento di Critica Letteraria, a cui cerco di dare il mio piccolo contributo di lettore.

Vorrei innanzitutto chiederti qualcosa a proposito dei tempi di composizione. Parlando con te tempo fa, ricordo che mi dicesti che i componimenti risalivano tutti a parecchio tempo fa: quando? E quale arco cronologico coprono?

Si; come tu ben dicevi, i primi componimenti risalgono a dodici anni fa circa.
Era esattamente un’estate quando iniziai a scrivere quelli che un tempo chiamavo “pensieri”.
In Quello che le foglie non dicono si snoda un arco temporale di circa undici anni; infatti le ultime poesie della raccolta risalgono all’anno precedente alla pubblicazione.
Ecco spiegato l’alto numero di componimenti – circa un centinaio – presenti nel libro.

Essendo passato del tempo, quale approccio dedichi a questa tua prima raccolta? Nostalgia o intolleranza? Tenerezza o ritieni che siano ormai superate?

Visto che il libro parte da poesie scritte tempo addietro, provo molta tenerezza per esse ma soprattutto verso il ragazzino che ero al momento in cui le scrissi.
In alcuni momenti – e questo è possibile rintracciarlo nella lettura dei versi più recenti – rivive un po’ la nostalgia di quei anni con tutto ciò che ne consegue.
Sicuramente non provo intolleranza. Sono comunque legato al mio passato per i piacevoli momenti che m’ha regalato ma anche riconoscente per le esperienze negative che m’ha insegnato.

Come già si nota da una prima lettura, quest’amore non corrisposto è un continuo stimolo a comporre poesie, nonostante sia a tratti ineffabile e sempre inafferrabile. Cosa vuoi dirci in merito?

Concordo con la tua analisi.
L’amore non corrisposto che si percepisce nel volume si fa immagine viva e densa nei miei componimenti. Credo che questo tema dell’”inafferrabile” come stimolo allo scrivere sia abbastanza frequente in letteratura, in particolar modo nella poesia.
Diversi poeti “strumentalizzano” l’immagine-oggetto del desiderio “inafferrabile” e la ri-creano nei loro versi, plasmandola.
Concordo con Umberto Galimberti quando in un saggio scrisse che “l’assenza è il luogo dell’immagine” perché è “[…]nell’assenza che il mondo acquista un senso[…]”; e il ponte a cui giungere a questo senso è la riflessione.

Perdona la curiosità: visto che ogni Dante ha la sua Beatrice, chi ha Giuseppe? La “musa” della raccolta è una donna realmente esistente o la somma di ideali qualità?

In un certo senso, m’aspettavo questa tua considerazione; mi fa piacere l’abbia proposta perché merita la dovuta attenzione da parte mia.
In generale, le tue due differenti ipotesi possono raccogliere una sintesi.
Volendo rispondere, vorrei pensare divisa questa raccolta in un due sottoraccolte.
Ognuna di esse ha una sua “musa”.
Mi piace immaginare che mentre la prima delle due – seppur realmente esistente – è piu’ rivestita (e forse investita) dalla somma di ideali qualità, la seconda – pur essendo anch’essa “idealizzata”- è più “sostanza” e più “realtà” nonchè, attualmente, il mio piacevole presente.

Giuseppe-poeta, fin dalle prime composizioni, appare speranzoso e pessimista insieme: vorrebbe, ma non osa, ama ma non lo dichiara, se non poeticamente. Qualcosa è cambiato da allora? Vedi una predominanza di speranza o di pessimismo?

Se l’oggetto della domanda sono io ed il mio approccio all’amore, sicuramente qualcosa è cambiato rispetto ai versi delle prime composizioni.
La speranza di allora mi piace chiamarla realismo oggi.
Se invece l’oggetto della tua richiesta è il modo di “poetare” l’amore, credo che solo l’attimo e l’ispirazione del momento in cui scrivo, possano conoscere una risposta e non è detto sia necessariamente solo una delle due a predominare.

Non è un segreto (basti consultare la tua libreria su Anobii, o la recente recensione qui su Critica Letteraria) l’amore che nutri per la poesia. Quando è nato? Credi che gli studi abbiano influenzato molto la tua passione?

Dici che non passa inosservato, eh?...
Si, hai ragione, comunque. La poesia mi piace molto e, nel tempo, posso dire di averne letto diversa, anche nei generi.
Quando iniziai a scrivere alcune delle cose presenti in Quello che le foglie non dicono la mia conoscenza era quella di un ragazzino che leggeva le poesie - per studiarle! –all’interno delle poche ore di letteratura che un Istituto Tecnico per geometri riservava in calendario.
La passione vera e propria venne solo un paio d’anni dopo ed ebbe la sua origine al momento del tema della maturità.
Fui l’unico in tutto l’Istituto a scegliere di analizzare la poesia “I Fiumi” del grande Ungaretti.
Ricordo il momento della scelta come un mix di incoscienza e attrazione (dalla prima lettura, ricordo rimasi rapito dalla poesia e ne compresi subito il senso e i sentimenti del Poeta).
Da allora, quel tema ha prodotto due risultati sul mio futuro: la scelta di proseguire con dei studi umanistici all’Università e la passione per la poesia, scritta e letta.
Dunque posso dire che la passione abbia influenzato i miei studi, piu’ che viceversa!

In particolare, quali modelli poetici potresti riconoscere nella tua produzione?
Riguardo ai modelli “stilistici”, mi piace scrivere “versi liberi”, senza predefinire metriche, rime o altre strutture linguistiche.
Come tu hai avuto modo di approfondire nella recente recensione, tendo ad usare sintassi rotte e versicoli e mi viene spontaneo anche spezzare l’ultima vocale dai verbi se questo permette una transizione più scorrevole dai predicati all’oggetto.
Seguo più che altro la musicalità, il ritmo e, se possibile, cerco di limitare al massimo il numero di versi.
Per quanto riguarda i Poeti, non ne conosco molti finora.
Mi piace molto lo scrivere di Ungaretti, Baudelaire, Trakl, Montale, Neruda, Hikmet, Keats; ho letto piacevolemte diverse poesie di Prevert, Jimenez, Apollinaire; ho scoperto piacevolmente Tagore, Ivano Ferrari (“La franca sostanza del degrado” è una splendida raccolta, soprattutto nelle “poesie laconiche”) e mi sono follemente innamorato del “Canzoniere della morte” di Salvatore Toma (sa essere devastante in quanto a crudezza).
Chi in misura minore, chi in maggiore, ognuno di essi con le sue poesie m’ha lasciato qualcosa dentro. Cito tra i primi, sicuramente Toma e Ungaretti.

Vuoi definire la tua poesia con cinque aggettivi al massimo?
Romantica, Passionale, Sintetica, Ermetica, Simbolica.

Sempre a tal proposito, si sente sempre alludere al lento decadere della poesia, destinata, secondo alcune autorevoli e meno autorevoli voci, all’agonia e poi alla scomparsa. Pertanto, sono in molti a rinunciare all’ispirazione poetica, perché ritenuta ormai vana. Personalmente, non riesco a nutrire un simile disfattismo. Tu che ne pensi, visto che sei riuscito a pubblicare una prima raccolta poetica?

Questa domanda richiede qualche riga in più nel rispondere.
Permettimi questa licenza.
Sono un po’ pessimista riguardo alla valenza della Poesia, al giorno d’oggi.
Credo che fra tanti generi letterari, essa sia quello con meno pubblico (anche se nel 2007 sono aumentate le pubblicazioni poetiche, secondo recenti dati). Non mi sorprende.
Rispetto ad altri generi come un saggio, un thriller, un romanzo d’amore, addirittura un poema, penso la Poesia sia linguisticamente e strutturalmente multiforme.
Questo richiede un’educazione sufficiente alla comprensione e alla lettura che non sempre è possibile condurre, per svariati motivi; andrebbe indagato a monte il problema, ossia al momento in cui il ragazzo che ha imparato ad usare sufficientemente bene la propria lingua a scuola, s’avvicina alla lettura dei primi versi d’un componimento.
A mio modesto parere, l’insegnamento scolastico dovrebbe far conoscere l’arte del “poetare” ai ragazzi partendo dal loro contesto linguistico più vicino – quello a loro contemporaneo – e via via ricondurlo al suo utilizzo nelle epoche passate, anziché seguire cronologicamente la storia della letteratura poetica.
Potrebbe risultare utile educare i ragazzi, inoltre, ad un duplice approccio allo studio della Poesia.
Dal punto di vista linguistico-semantico, concentrarsi sul valore della sintesi, insegnando loro l’abilità di condensare un concetto in poche parole (in questo potrebbe essere preso come riferimento procedurale l’aforisma).
Dal punto di vista più puramente pedagogico, può essere inoltre fondamentale l’educazione sentimentale (la Poesia è sentimento), che può portare i ragazzi a riconoscere ed identificare le loro emozioni e a saperle “manipolare” adeguatamente al momento in cui si volesse scrivere di loro.
Ma ritornando alla generalità della tua domanda, ciò che rende (o può rendere) vana la Poesia al giorno d’oggi credo possa essere l’incapacità ad entrare in contatto con se stessi.
Come dice la Poetessa rumena, Ana Blandiana “Lo scopo della poesia è quello di ripristinare il silenzio, la capacità di tacere”.
Ho forti dubbi che il mondo attuale aiuti l’uomo in tal senso…

Dedica qualche confessione a Critica Letteraria: stai componendo ancora? E, se posso una tale invadenza, in quale direzione?

Si, sto ancora scrivendo.
Scrivo parecchio, sempre su ispirazioni fugaci ma totalizzanti.
La direzione la da tutto ciò che di nuovo vivo e sento nella mia vita, anche nelle cose mancanti; non bado ad altro se non a sentire profondamente nell’animo ciò che scrivo.
Diciamo che forse l’unica operazione di ricerca che sto intraprendendo nello scrivere è quella che di far parlare sempre di più il sacro presente in me.
Sulla scorta di questa esperienza, ritieni di proporre ancora alla stampa anche queste poesie?
L’idea c’è. Dovrò ovviamente parlarne con l’Editore.
Devo ammettere però che, a differenza della prima raccolta, stavolta opererò una scelta del materiale, qualora volessi stamparlo.
Credo che la prima pubblicazione mi ha dato la “misura” cognitiva che devo sviluppare un percorso già iniziato e la mia autocritica ha consequenzialmente preso maggior rilievo al momento in cui valuto uno scritto.
Vorrei però poter spendere due importanti parole di ringraziamento, visto che parliamo di stampa.
Una è per Davide Zedda e tutto lo staff della casa editrice La Riflessione, che m’hanno permesso di sentirmi fortunato nel poter pubblicare Quello che le foglie non dicono.
La loro disponibilità, il loro affetto verso il sottoscritto sono stati completi.
E poi ringrazio la mia cara zia, Lucia Sanna (Scrittrice di alto livello sia di racconti che di poesie) che ho voluto fortemente come prefatrice al libro e che ha speso parole importanti d’incoraggiamento per pubblicare il volume a suo tempo e altre, ancor piu’ importanti, m’ha onorato di leggerle in questa sua sintetica ma densa introduzione.
Il mio affetto per lei è veramente grande.

Infine, vuoi raccontarci se i tuoi desideri per il futuro riguardano la poesia?

Tra i miei tanti desideri nel futuro, c’è anche la poesia e il saperla coltivare sempre meglio. Inutile dire che le priorità sono altre: lo studio e il lavoro prima di tutto.
Mi auguro, comunque, di avere la possibilità di conoscere e imparare, da chi già ne ha avuto esperienza, i tanti segreti e le tante bellezze che ancora può regalare la Poesia.

Grazie mille per la tua gentilezza. Un grande in bocca al lupo per le prossime poesie e a risentirci, sempre sulle pagine di Critica Letteraria, tra una recensione e l’altra!

Grazie a te, Gloria, e a tutti i collaboratori di Critica per avermi dato la possibilità di dialogare “intorno alla Poesia” e aver fatto conoscere qualcosa di più sul conto mio ma soprattutto del libro (un altro grande ringraziamento va anche a te per la splendida ed attenta recensione fatta sulla raccolta qualche giorno fa su questo blog!).
Crepi il lupo! E…alla prossima recensione!
Un caro saluto a te, ai collaboratori e ai lettori di Critica Letteraria.
Giuseppe

Gloria Ghioni (Anathea)